Ma anche la comunicazione aziendale non è da prendere sotto gamba. Soprattutto oggi che internet, i social, la digitalizzazione hanno reso tutto più arduo.
Perché è difficile “arrivare” alle persone, oggi. E non parlo di strumenti.
Destare la loro attenzione da quello scroll ormai compulsivo di una bacheca social, è un lavoro per pochi instancabili copywriter creativi. I maratoneti del web. Quelli che scrivono per 42 km ininterrottamente finchè… non trovano la chiave di lettura negli ultimi 195 metri, raggiungendo il loro più grande traguardo: il cliente.
Catturare l’attenzione in 3 secondi
È davvero difficile essere ascoltati. La partita si gioca tutta nei primi 3 secondi di un video. Sbagli? Sei in panchina e fine dei giochi.
Ancora più difficile è essere letti. Perché chi ha più voglia o tempo di leggere tutti gli articoli, post, commenti pubblicati quotidianamente in rete? Eppure…
Eppure il content marketing è una componente importante della strategia aziendale di molte imprese italiane. Malgrado, ahimé, venga spesso affidata a giovani neolaureati. Millennials indottrinati certo sugli strumenti, tuttavia senza barlume di cosa significhi “scrivere bene”, o “comunicare con efficacia”. Inesperti riguardo l’ironia di un messaggio pubblicitario. Ancora troppo descrittivi e didascalici in un palcoscenico dove l’intrattenimento e l’emozione la fanno da padrona. Orientati alle caratteristiche del prodotto e non alle persone che lo usano.
“La rivoluzione digitale ha scompaginato i palinsesti, sconfessato il marketing tradizionale e travolto i vecchi paradigmi dell’informazione, della comunicazione pubblicitaria, della narrazione d’impresa.
È come se il nostro scrivere avesse perso capacità di fissarsi e una volta in rete le nostre parole perdessero i propri riferimenti, volassero via, smarrendosi dai contesti e trasformandosi in altro.” E io non posso che non essere d’accordo con Paolo Iabichino, autore del libro Scripta Volant.
La buona scrittura è morta?
Allora bisogna chiedere di più a noi stessi. Perché le parole, la buona scrittura e la forma non bastano più.
Servono creatività, ascolto e condivisione di valori. Soprattutto una comunicazione più autentica.
Perché “i mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici. Le conversazioni tra essere umani suonano umane. E si svolgono con voce umana” (cit. Cluetrain Manifesto).
Ed è proprio questa la parte che preferisco: l’autenticità. Il ritorno alle origini, al quotidiano, al reale. Come nell’ultima campagna pubblicitaria di Benetton “Clothes for humans”, dove lo stile provocatorio delle immagini è stato abbandonato a favore di un concetto più attuale e sentito: “l’essere umano imperfetto, immerso nella sua quotidianità”.
Un nuovo obiettivo da raggiungere
La comunicazione aziendale e la pubblicità richiedono quindi per i social media marketer, i content manager o i branding manager (come me) uno sforzo maggiore rispetto al passato. Uno sforzo che non risiede solo nel conoscere bene le regole SEO e SEM. Ma anche e soprattutto, nel ripensare le nuove regole di copywriting, per realizzare una comunicazione di valore e che crei valore per l’azienda, per il prodotto o servizio che offriamo e per i clienti che ci leggono.
Come?
Alimentando quotidianamente la creatività, l’ironia e l’empatia che ci lega al nostro pubblico. Pensando e realizzando una comunicazione di qualità, che attiri e coinvolga. Elevandoci dal chiacchiericcio della rete. Perché è un nostro dovere e anche una nostra responsabilità.
“L’obiettivo è restituire alla pubblicità il carisma delle sue origini, che oggi può essere recuperato attraverso la creazione di contenuti che informino, intrattengono, facciano ridere, piangere, conoscere, crescere o indignare. Contenuti pensati e scritti per arricchire noi, le marche che se ne fanno promotrici e tutti coloro che ne usufruiranno.” (Paolo Iabichino, Scripta Volant).