Spirito di iniziativa, competizione, ambizione sono solo alcuni dei possibili punti di partenza di un lungo percorso. Perché il ciclo dell’innovazione è in continua evoluzione e, con alti e bassi, procede spedito senza guardare indietro, senza attendere chi se la prende comoda o chi non riesce a stare al passo.
In questo contesto vorticoso le aziende Kibs sono alla ricerca di una posizione salda e stabile che gli permetta di essere più produttive e di guadagnare quote di mercato maggiori.
Ce ne parla la Professoressa Anna Cabigiosu, ricercatrice di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove insegna Gestione dell’Innovazione e della Produzione.
1. Basandoci su dati recenti riguardanti i Kibs, come valuta il quadro italiano attuale?
“Il quadro attuale è positivo. Secondo i dati, il tasso di crescita di queste imprese e le performance economiche sono molto buone nonostante siano anni non brillanti per la crescita del contesto italiano.
Ricordiamo che si parla di servizi all’impresa: la crescita dei servizi Kibs dovrebbe trovare almeno nel medio termine una contropartita nella crescita delle imprese a cui si rivolgono. Questo perché i Kibs sono imprese di piccole dimensioni che lavorano su scala locale, quindi la crescita dei loro clienti è una condizione essenziale nel medio-lungo termine. In questo senso è importante che si venga a creare un circolo virtuoso tra performance dei Kibs e quelle delle imprese alle quali erogano i servizi.
I dati suggeriscono un percorso di crescita costante che va avanti dagli inizi del 2000 e il piano dell’Industry 4.0 costituisce uno sprone per lo sviluppo sia dei Kibs sia delle loro imprese clienti.”
2. Se dovessimo considerare dei punti di forza dei Kibs italiani rispetto alla concorrenza estera, cosa emergerebbe?
“Più che di punti di forza parlerei di alte barriere all’entrata. Per i clienti è molto importante la vicinanza con i service provider, una vicinanza non solo geografica, ma molto spesso anche culturale perché si esplica in una maggiore conoscenza del territorio, dei bisogni e della normativa vigente.
Le imprese italiane sono in prevalenza piccole e medie aziende, come lo sono i Kibs, quindi tendono a ricercare i servizi di cui hanno bisogno nelle zone limitrofe, in genere nella stessa provincia. Il fatto di essere vicine ai loro clienti è una fonte di vantaggio competitivo rispetto ai competitor stranieri, soprattutto perché comprendono meglio le dinamiche competitive legate al territorio.
In realtà un raffronto più significativo si fa per aree metropolitane. Ad esempio Roma e Milano sono maggiormente comparabili con Berlino, Madrid, Londra, zone con Kibs più dinamici, innovativi, competitivi e strutturalmente simili.
Rispetto allo scenario italiano, la differenza principale si vede con le imprese del Nord America e Canada che hanno in media maggiori dimensioni e aree di R&S interne che li porta ad avere una maggiore capacità di innovazione e di internazionalizzazione.”
3. Ritiene che le aziende KIBS, abituate alla customizzazione del servizio, abbiano le competenze necessarie per passare a un approccio più standardizzato? Quanto valore aggiunto può generare questo passaggio?
“Sicuramente sì. Uno dei limiti italiani è il problema della produttività che ha portato la nostra offerta a essere meno competitiva in questi ultimi anni (un problema che coinvolge in primis il settore dei servizi).
Per aumentare la produttività è necessario trovare un modo per codificare e archiviare le proprie conoscenze, diffondendole internamente e replicandole con routine e procedure che rendono l’organizzazione più performante.
Si può superare il trade off tra customizzazione e replicazione se c’è una progettazione intelligente del servizio. Ad esempio, nell’ambito della produzione l’utilizzo di piattaforme o di una logica modulare sono concetti conosciuti e ampiamente diffusi in tutta Europa dal secondo dopoguerra; nel terziario invece sono arrivati da poco, ed è complesso comprendere come declinarli al meglio perché, mentre i prodotti materiali sono più facili da progettare e replicare nel tempo, i servizi hanno una componente immateriale che richiede un maggiore sforzo di codificazione.
Oggi in realtà le imprese hanno degli strumenti che favoriscono la produttività, come le nuove tecnologie digitali che hanno portato alla creazione di piattaforme tramite cui i dipendenti esplicitano, codificano e condividono conoscenze ed esperienze.
Tuttavia l’aspetto culturale – organizzativo resta rilevante: non è banale convincere i propri dipendenti dell’importanza di condividere le proprie expertise, mettendole nero su bianco e favorendone la circolazione all’interno dell’organizzazione. Le tecnologie digitali mettono a disposizione nuovi strumenti di codificazione che le imprese devono includere in un contesto culturale e organizzativo fatto di incentivi mirati alla corretta utilizzazione di questi strumenti.”
4. In quale misura l’insegnamento universitario può influenzare la crescita dei Kibs nel contesto italiano?
“In realtà gli studi sull’innovazione nei Kibs, sulla progettazione per piattaforme, la modularità, la standardizzazione si concentrano dal 2000 in poi.
La ricerca empirica, condotta dall’Università, si traduce in un sapere diffuso e condiviso che poi arriva in aula agli studenti. Tuttavia per realizzare robusti studi longitudinali, confrontarli tra loro, trovare relazioni causa-effetto, serve materialmente del tempo, quindi il tema dei Kibs è entrato nelle nostre aule recentemente.
Queste imprese hanno delle peculiarità ed innovano in modo diverso dalle imprese manifatturiere e per questo non possiamo semplicemente traslare teorie e modelli del manifatturiero ai Kibs.”
5. Dovendo scegliere una linea strategica per il marketing dei Kibs, sarebbe più interessante puntare alla focalizzazione, per assicurasi performance più efficienti, o alla diversificazione, in modo da garantire maggior sicurezza delle entrate?
“Negli ultimi anni ho osservato un trend che predilige la diversificazione dell’offerta e strategie di aggregazione con partner che erogano servizi complementari. L’idea è creare un network, una rete di Kibs che operano nello stesso settore, perché rivolgersi a tanti fornitori con specializzazioni diverse è un costo per il cliente. È molto più semplice avere un unico punto di riferimento in grado di fornire un servizio più completo, riducendo così il numero di partner con cui le imprese devono interfacciarsi e migliorando la qualità del servizio grazie ad una maggiore conoscenza del cliente.
Questo non esclude che ci sia spazio per la specializzazione, piuttosto ce n’è di più in aree metropolitane, dove si possono trovare imprese più grandi con esigenze specifiche che non possono essere più soddisfatte da un provider generalista.
L’esigenza di creare una rete è stata riconosciuta anche dal legislatore con i contratti di rete (dal 2009-2010), una formula contrattuale che comincia a essere sfruttata anche dalle imprese Kibs con l’obiettivo di fornire un servizio il più completo possibile attraverso collaborazioni mirate con provider di servizi complementari.”
6. Cosa significherà essere un KIBS domani?
“Dando uno sguardo al futuro, i Kibs avranno ottime opportunità di crescita se riusciranno ad aggiornare le proprie competenze.
Una possibilità interessante è offerta dal piano Industry 4.0 nel quale molti Kibs svolgono un ruolo centrale come service provider di servizi ICT o di consulenza. Questa centralità permetterà inoltre di cambiare il legame tra cliente e Kibs. Infatti in un’epoca di grande innovazione, un fornitore di servizi dovrebbe proporsi con un atteggiamento di tipo push e quindi proporre ai clienti delle soluzioni e non solo limitarsi ad una strategia di customizzazione trainata dalle richieste del cliente.
Questo può essere un momento estremamente positivo per le aziende del territorio, viste le sovvenzioni e un’attenzione delle istituzioni verso la crescita tramite investimenti in nuove tecnologie e servizi.
I dati dicono che i Kibs stanno crescendo e le traiettorie di sviluppo basate sull’Industry 4.0 ci fanno pensare che sarà così anche nel futuro.”
«Bisogna essere proattivi, cioè imparare a gestire in maniera strategica l’innovazione per farne una leva della propria crescita», uno spunto interessante che fa riflettere.
Non basta rispondere alla domanda di servizi, bisogna spingerla e invogliarla, anticipando delle soluzioni a problemi latenti. Non è facile, ci vuole ingegno e arguzia, tuttavia il contesto che si è creato negli ultimi anni suggerisce ottimismo e positività.
I Kibs possono essere davvero un buon traino per lo sviluppo del mercato italiano, l’importante è cogliere e sfruttare questa opportunità, a meno che non si voglia rimanere indietro. Proprio lì dove il ciclo dell’innovazione non si volterà più a guardare.